Memorie del 1976  -  Angelo di Verola


[ L'ANGELO DI VEROLA – Novembre 1976 Anno I N°11 pag. 19,20 ]
MISCELLANEA A cura di ANTONIO VENETUS

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VERONICA GAMBARA
(Pralboino 1485 - Correggio 1550)

 

 

 

 

 

Ritratto di Veronica Gambara
da "Rime" ediz.Rizzardi - 1759 - Brescia

Nacque il 30 novembre 1485, da G. Francesco Gambara e da Alda Pia da Carpi, forse a Verola.
Sposò nel 1509 Giberto da Coreggio, al quale dedicò molte poesie. Rimasta vedova nel 1518 resse con fermezza il suo Stato.
Poetessa ammirata dai più illustri letterati del suo tempo, quali l'Ariosto, il Tasso e l'Aretino. Il suo modo di poetare, risente del Petrarchismo del Bembo, col quale scambiò delle epistole, meglio che nelle forme liriche del sonetto e della canzone, trovò la sua giusta misura discorsiva e stilistica nei modi eleganti delle stanze.
Presentiamo alcune rime scelte tra quelle pubblicate dallo stampatore Rizzardi di Brescia nel 1759, con dedica al conte Niccolò Gambara (sepolto nella nostra Disciplina di S. Croce), feudatario di Verola Alghise.
Si avverte leggendole, una personalità forte e sensibile, intimista, piena di nostalgia del proprio paese, amante della natura, riflessiva sulla fuggevolezza del tempo e sulla caducità delle cose umane, profondamente religiosa.
Il suo modo di poetare, un lirismo legato alle forme del Petrarca e del Bembo, riscosse l'ammirazione dei più illustri letterati del suo tempo, con i quali scambiò delle lettere; dall'Ariosto al Bembo, dall'Aretino al Tasso, e soprattutto con Vittoria Colonna, la poetessa cristiana che confortò l'animo tormentato del grande Michelangelo.

R I M E

V

Là dove più con le sue lucide onde
Il piccolo Mella le campagne infiora
De la mia Patria, e che girando onora
Di verd'erbe e di fiori ambe le sponde;
Al gran nome real che copre e nasconde
Le nostre glorie, e quelle antiche ancora,
Farò un tempio d'avorio; e dentro e fuori
Mille cose si vedranno e gioconde.
……..

XXXI

Guida con la tua man forte al cammin dritto
Signore, le genti tue che armate vanno
Per dar a tuoi nemici acerbo danno,
E per tua gloria a far Cesare invitto.
Quell'ira e quel furor che già in Egitto
Mostrasti, adopra or contra quel che stanno
Duri per colmar noi d'eterno affanno,
Qual Faraone il tuo Israele afflitto.
Mira con pietoso occhio, e vedrai quanto,
Per riacquistare la già perduta gregge,
S'affligga ed usi ogn'arte il Pastor santo.
Fa che si vegga, che il favor tuo regge
Quest'alta impresa al fin, cagion di tanto
Utile e onor a la cristiana legge.

X

Tu che di Pietro il glorioso manto
Vesti felice, e del celebre regno
Hai le chiavi in governo; onde sei degno
Di Dio ministro, e pastor saggio e santo;
Mira la greggia a te commessa, e quanto
La scema il fiero lupo; e poi sostegno
Securo l'una dal tuo sacro ingegno
Riceva e l'altro giusta pena e pianto.
Scaccia animoso fuor del ricco nido
I nemici di Cristo or che i duo Regi
Ogni lor cura e studio hanno a te volto
Se ciò farai, non sia men chiaro il grido
De l'opre tue leggiadre e fatti egregi,
Che sia di quello il cui gran nome hai tolto.

XXXIII

Oggi per mezzo tuo, Vergine pura,
Si mostra in terra sì mirabil cosa,
Che piena di stupor resta pensosa,
Mirando l'opra, e cede la natura.
Fatto uomo è Dio, e sotto umana cura
Vestito di mortal carne noiosa
Restò qual era, e la divina ascosa
Sua essenzia tenne in pueril figura
Misto non fu, nè fu diviso mai;
Ma sempre Dio e sempre uomo verace,
Quanto possente in ciel, tanto nel mondo
Volgi dunque ver me, Vergine, i rai
De la tua gratia, e il senso mio capace
Fà di questo mistero alto e profondo.

[ L'ANGELO DI VEROLA – Novembre 1976 Anno I N°11 pag. 19,20 ]


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