Paola Gambara nacque a Virola Alghise, oggi Verolanuova, il 3 marzo 1473: fu la primogenita di Pietro Gambara, uomo di grande nobiltà, molto ricco e cristianamente virtuoso, e di Taddea Caterina Martinengo, anch'essa nobile pia.
Dopo di lei nacquero altri sei figli: Marietta, che divenne monaca, Ippolita che fu madre di quattordici figli, Laura, vedova, che si dedicò alla redenzione delle giovani di malaffare, Federico, Lodovico e Maddalena.
Fin da piccola, Paola si mostrò dedita alla preghiera e alla carità: il suo primo confessore fu Padre Andrea da Quinzano del convento di Sant'Apollonio a Brescia. Nel 1484 il conte Bongiovanni Costa, signore di Bene, scudiero del Beato Amedeo IX, cavaliere di S. Michele dal 1453 e ambasciatore del Duca di Savoia presso la Serenissima Repubblica di Venezia, ospite di casa Gambara, fu colpito dalla purezza e dalle virtù della giovane e la chiese in moglie per il nipote Ludovico Antonio: il desiderio di Paola però era di entrare in convento.
I suoi genitori presero tempo e il Conte Costa inviò a parlare con la ragazza il Beato Angelo Carletti da Chivasso: egli la persuase che come moglie e madre sarebbe comunque stata fedele e devota a Dio, grazie alla Fede. Le citò il Duca di Savoia Amedeo IX come esempio di moderazione cristiana in mezzo ai fasti e Paola acconsentì alle nozze.
Nell'autunno del 1485 si celebrarono le nozze nel castello di Pralboino. Gli Vita di Paola sposi, nella primavera del 1486, con un ricco corteo attraversarono Milano, Alessandria, Asti e Torino dove resero omaggio alla Corte Ducale dei Savoia. Giunsero infine nella città di Bene, città di origine romana col nome di Augusta Bagiennorum, sottoposta alla Signoria del Vescovo d'Asti dal 901 al 1387, occupata dal Duca Amedeo di Savoia, principe del ramo Acaja, divenuta nel 1413 feudo dei Costa di Chieri.
Paola iniziò la sua vita come Signora di Bene: il marito era di poche parole con lei, ma si mostrava rispettoso, Paola era intenzionata ad essere una buona moglie e a voler bene a quell'uomo che amava la caccia e i banchetti con gli amici. A lei invece i banchetti pesavano e soprattutto i balli, ma era già così ai tempi in cui nel palazzo di Pralboino doveva presenziare a tali ritrovi con i genitori. La contessa scrisse a Padre Angelo Carletti una lettera in cui gli sottoponeva i propositi per le sue giornate: "Sul far dell'aurora, mi alzerò da letto, mi porterò alla Cappella di casa ove farò le mie orazioni: indi pregherò il Signore e la Beata Vergine per me peccatrice, il mio caro marito e quanti sono della sua e mia casa. Poi dirò a ginocchia piegate il Rosario per le anime dei defunti di tutte e due le famiglie, per amici e conoscenti. Se fossi malata, lo reciterò a letto. Finito il rosario, attenderò alla casa e alle cose del mio Signor Consorte; andrò poi ad ascoltare la Santa Messa dai Frati alla Rocchetta. Ritornata a casa, seguirò gli affari della medesima. Dopo pranzo reciterò l'Officio della Madonna e leggerò il libro mandatomi da lei, Padre Angelo. Seguiranno le mie faccende domestiche e il fare, come potrò, l'elemosina ai poveri. A sera, prima di cena, farò un'altra lezione spirituale e dopo cena, prima di coricarmi, ripeterò il Rosario. Ubbidirò a mio marito, lo compatirò nei suoi difetti e avrò cura che questi non vengano risaputi da nessuno; mi confesserò di quindici in quindici giorni, farò quanto posso per salvare l'anima mia". Il suo confessore divenne Padre Crescenzio Morra da Bene.
Erano tempi durissimi per le popolazioni del Piemonte: si susseguivano calamità naturali, carestie, malattie e la miseria era ovunque. Così era a Bene, Trinità e Carrù, nelle terre dei Costa in quegli anni dolorosi quando i poveri vivevano in misere abitazioni e giunsero a farsi il pane con i gusci di noce. La gente si avvicinava alle mura del castello che racchiudeva i granai nelle cantine e le ricchezze dei signori.
I servi gettavano dai bastioni gli avanzi dei sostanziosi pasti e tutti correvano per mettere qualcosa sotto i denti. La morte era una compagna quasi quotidiana di grandi e piccoli; soprattutto i bambini, i più deboli cadevano sotto la sua spietata falce. Il Conte Costa non gradiva la vicinanza del popolo sofferente, invece Paola soffriva con i poveri e li aiutava, poiché era abituata alla generosità senza riserve praticata nella casa natia dei Gambara a Brescia.
Paola Gambara fu chiamata in quegli anni a fare da madrina all'Infante ducale Violante di Savoia, figlia del Duca Carlo I e di Bianca di Monferrato.
Nel 1488 giunse la gioia più grande: nacque il figlio tanto desiderato da Paola e da Ludovico Antonio. Fu chiamato Gianfrancesco, in onore del Santo di Assisi cui la contessa era devota e Giovanni in quanto nome di famiglia.
In quell'occasione Paola ottenne che il Conte facesse distribuire alla popolazione grandi quantità di cibo.
Nel 1491 la Contessa chiese di aderire al terz'ordine francescano: con l'aiuto del Padre Angelo Carletti ebbe l'approvazione del marito. Sotto gli abiti signorili, ma molto semplici, indossava la tonaca col cordone. Nel 1492 compose una lite tra i cittadini di Bene ed il marito per diritti di acque. Gli anni successivi furono però molto amari per la Contessa: l'animo inquieto del Conte trovò il modo di infliggerle gravi umiliazioni.
Lodovico si invaghì della giovane figlia del Podestà di Carrù e nel 1494 la condusse ad abitare nel Castello di Bene, non curandosi dei sentimenti della moglie: Paola fu rinchiusa, privata della sua libertà. Si cercò di impedirle di fare la carità alla povera gente di Bene: ma nonostante le angherie, i magazzini si aprivano davanti alla serva di Dio e le provviste si moltiplicavano nonostante le donazioni.
Nel 1495 il figlio Gianfrancesco dovette lasciarla per recarsi a Chieri a studiare le lettere tra i suoi ascendenti paterni: per Paola il distacco da lui fu durissimo; da lì a poco venne a mancare anche Padre Angelo Carletti presso il convento di Sant'Antonio a Cuneo. La Contessa si recò ai funerali e lì cadde malata rimanendo lontana da casa per diversi giorni. Negli anni successivi iniziò ad avere attacchi di emicrania molto forti; visse un momento di serenità quando nel 1500, accompagnata dal marito, potè tornare alla casa natia per rivedere la sua famiglia d'origine.
Al suo ritorno a Bene tornò ad aiutare di nascosto la popolazione tormentata dalla fame e dalla carestia. Nel 1504 improvvisamente l'amante del Conte fu colta da strani dolori al ventre: nessuno riusciva ad avvicinarla. Paola andò da lei, la perdonò, la rincuorò e le rimase accanto fino alla morte. Questo comportamento fece sì che nascessero dei sospetti sulla morte della ragazza, ma la Contessa sopportò anche questo oltraggio. Da quel momento iniziarono a verificarsi fatti miracolosi.
Quando tornò al castello il figlio Gianfrancesco, sedicenne, dopo aver servito alla Corte dei Duchi di Savoia come paggio, il padre si affrettò ad indire un banchetto per festeggiarlo: ad un certo punto mancò il vino, poiché la Contessa ne aveva dato ai poveri convalescenti e ai vecchi. Ludovico si adirò e accusò la moglie di sperperare i suoi averi, ma, ad un cenno di Paola, le botti risultarono nuovamente piene.
Qualche tempo dopo, mentre la Contessa scendeva le scale del Castello con il grembiule colmo di pane da dare ai poveri, fu affrontata da marito che le chiese che cosa portava con sé. Paola, dopo aver mormorato una preghiera, mostrò il pane che si era trasformato in fragranti rose, nonostante fosse pieno inverno. Il Costa, da quel momento, le diede licenza di fare la carità ai poveri.
Nel 1506 Ludovico Antonio divenne gravemente malato e la moglie lo assistette con ogni cura; ottenuta la guarigione, insieme si recarono alla Chiesa degli Angeli di Cuneo per ringraziare il Beato Angelo della sua intercessione: offrirono al convento un calice e due ampolle d'argento oltre ad un generoso lascito in segno di riconoscenza. Il Conte Costa si convertì e divenne un marito presente e fedele.
Nel 1508 Paola Gambara operò la ristrutturazione del Convento della Rocchetta; intanto continuò con le sue opere di carità e di dedizione totale ai poveri. Il 14 gennaio 1515 fu assalita da una febbre improvvisa e violentissima
accompagnata da fortissimi dolori al capo: spirò con serenità, dopo essersi confessata ed aver ricevuto l'Eucaristia, il 24 gennaio 1515 e per la gente di Bene fu subito santa: venne sepolta nella chiesa fuori le mura della Rocchetta che tanto aveva amato.
Nel 1536, durante le guerre tra Francesco I e Carlo V, essendo andata semidistrutta la Chiesa, il corpo di Paola venne trasferito al Castello. Successivamente fu edificata in città l'attuale Chiesa di San Francesco dove i Conti Costa provvidero a costruire una cappella dove collocarono in una preziosa urna la salma, incorrotta e flessibile, della Signora di Bene.
La devozione crebbe sempre più tra la popolazione e molte guarigioni miracolose si verificarono: il 14 agosto 1845 Papa Gregorio XVI proclamò Beata la Contessa Paola Gambara Costa.
Nella diocesi di Brescia la sua memoria si celebra il 23 gennaio.
Maria Grazia Bertola.
Bene Vagienna