Parrocchia angelodiverolaSan Lorenzo Martire in Verolanuova

Arcangelo Tadini


Canonizzato il 26 Aprile 2009 da Benedetto XVI
Proclamato Beato il 3 ottobre 1999 da Giovanni Paolo II




Madre Emma Arrighini
La Superiora Generale delle Suore Operaie

Un’intuizione d’amore

La nostra terra bresciana si arricchisce nuovamente di santità: il 26 aprile, in piazza San Pietro, Benedetto XVI proclamerà santo don Arcangelo Tadini.

Sacerdote e parroco della diocesi di Brescia, nei suoi 25 anni di parrocchia a Botticino Sera, seguendo le sue intuizioni pastorali, fondò una nuova famiglia religiosa: le Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth, ma visse e morì da prete diocesano. Parlare di lui vuol dire balbettare qualcosa che resterà infinitamente più piccolo e povero della ricchezza della sua santità austera ed esigente, ma colma di grande umanità, di amore a Dio e di attenzione al “gregge” a lui affidato. Le Suore Operaie nacquero dall’amore del parroco Tadini per la sua gente che viveva il difficile periodo storico della prima industrializzazione, in piena espansione nel Bresciano a metà Ottocento.

Egli, con occhio e orecchio attento, osservava e ascoltava la realtà vissuta dalla sua gente. Le mamme non nascondevano al loro parroco la grande angoscia che abitava il loro cuore: le figlie, a volte giovanissime, di soli 9-10 anni, erano costrette a lasciare il paese ogni settimana per trovare lavoro nelle filande dei paesi vicini, alloggiare in ambienti malsani, essere sfruttate da datori di lavoro senza scrupoli. Don Tadini sentiva nel suo cuore la stessa angoscia delle mamme per queste giovani che avevano l’aspetto di “limoni spremuti”, tanto che alle catechesi della domenica ripeteva: “Mi è di grande dolore veder partire le mie figliuole. Mamme se appena potete, tenetele a casa, pazientate e vi prometto che penserò qualcosa per rimediarvi”.

Fu allora che il suo cuore di padre, sollecitato dalla prima enciclica sociale della Chiesa, la Rerum novarum, gli suggerì l’idea di costruire una filanda. Egli non era architetto, né geometra, ma progettò la filanda per le sue figlie e ne iniziò la costruzione dando fondo a tutte le sue risorse patrimoniali. Era l’anno 1898 e, dopo l’avvio della filanda e l’inizio di un convitto per accogliere le lavoratrici che accorrevano dai paesi limitrofi, fondò nel 1900 le Suore Operaie. Tutto questo non solo per dare alle giovani un lavoro vicino a casa e un’assistenza religiosa, ma perché, attraverso il lavoro, fosse possibile una loro concreta emancipazione.

Egli stesso in una circolare scriveva: “ La Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth desidera suscitare in quante più operaie possibile l’alto sentimento della propria superiorità e indipendenza, di far gustare loro il nobile piacere di poter bastare a se stesse, di disporre dei propri guadagni, di vivere sempre del frutto del sudore della propria fronte… e di mettere l’operaia stessa nella possibilità di fare risparmi e provvedere al suo avvenire”. Questa intraprendenza di don Tadini gli procurò debiti, incomprensioni, calunnie… tutta una serie di difficoltà che si susseguirono e lo accompagnarono fino alla morte, avvenuta nel 1912. La stessa Chiesa poneva ostacoli alla sua opera, e non poteva essere diversamente se si pensa che la vita religiosa femminile fino agli inizi dell’Ottocento era quasi esclusivamente monastica e che la fabbrica era vista come luogo di peccato… E don Tadini aveva osato mandare delle suore in fabbrica!

Egli stesso era consapevole che “quest’opera è anzi tempo”, ma era anche fermamente convinto che non era opera sua, ma di Dio: “Dio l’ha voluta, la guida, la perfeziona, la porta al suo termine”. La morte lo coglieva così, mentre lasciava incompiuto e precario il sogno della sua vita, come seme affidato alla terra che a suo tempo avrebbe dato frutti abbondanti.

Emma Arrighini

(da: La Voce del Popolo n. 9 del 27-02-09 – pag. 5)