La nostra terra bresciana si
arricchisce nuovamente di santità: il 26 aprile, in piazza San Pietro, Benedetto XVI
proclamerà santo don Arcangelo Tadini.
Sacerdote e parroco della
diocesi di Brescia, nei suoi 25 anni di parrocchia a Botticino Sera, seguendo le sue
intuizioni pastorali, fondò una nuova famiglia religiosa: le Suore Operaie della Santa
Casa di Nazareth, ma visse e morì da prete diocesano. Parlare di lui vuol dire balbettare
qualcosa che resterà infinitamente più piccolo e povero della ricchezza della sua
santità austera ed esigente, ma colma di grande umanità, di amore a Dio e di attenzione
al gregge a lui affidato. Le Suore Operaie nacquero dallamore del
parroco Tadini per la sua gente che viveva il difficile periodo storico della prima
industrializzazione, in piena espansione nel Bresciano a metà Ottocento.
Egli, con occhio e orecchio
attento, osservava e ascoltava la realtà vissuta dalla sua gente. Le mamme non
nascondevano al loro parroco la grande angoscia che abitava il loro cuore: le figlie, a
volte giovanissime, di soli 9-10 anni, erano costrette a lasciare il paese ogni settimana
per trovare lavoro nelle filande dei paesi vicini, alloggiare in ambienti malsani, essere
sfruttate da datori di lavoro senza scrupoli. Don Tadini sentiva nel suo cuore la stessa
angoscia delle mamme per queste giovani che avevano laspetto di limoni
spremuti, tanto che alle catechesi della domenica ripeteva: Mi è di grande
dolore veder partire le mie figliuole. Mamme se appena potete, tenetele a casa, pazientate
e vi prometto che penserò qualcosa per rimediarvi.
Fu allora che il suo cuore di
padre, sollecitato dalla prima enciclica sociale della Chiesa,
la Rerum novarum,
gli suggerì lidea di costruire una filanda. Egli non era architetto, né geometra,
ma progettò la filanda per le sue figlie e ne iniziò la costruzione dando fondo a tutte
le sue risorse patrimoniali. Era lanno 1898 e, dopo lavvio della filanda e
linizio di un convitto per accogliere le lavoratrici che accorrevano dai paesi
limitrofi, fondò nel 1900 le Suore Operaie. Tutto questo non solo per dare alle giovani
un lavoro vicino a casa e unassistenza religiosa, ma perché, attraverso il lavoro,
fosse possibile una loro concreta emancipazione.
Egli stesso in una circolare
scriveva:
La Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth desidera
suscitare in quante più operaie possibile lalto sentimento della propria
superiorità e indipendenza, di far gustare loro il nobile piacere di poter bastare a se
stesse, di disporre dei propri guadagni, di vivere sempre del frutto del sudore della
propria fronte
e di mettere loperaia stessa nella possibilità di fare
risparmi e provvedere al suo avvenire. Questa intraprendenza di don Tadini gli
procurò debiti, incomprensioni, calunnie
tutta una serie di difficoltà che si
susseguirono e lo accompagnarono fino alla morte, avvenuta nel 1912. La stessa Chiesa
poneva ostacoli alla sua opera, e non poteva essere diversamente se si pensa che la vita
religiosa femminile fino agli inizi dellOttocento era quasi esclusivamente monastica
e che la fabbrica era vista come luogo di peccato
E don Tadini aveva osato mandare
delle suore in fabbrica!
Egli stesso era consapevole che
questopera è anzi tempo, ma era anche fermamente convinto che non era
opera sua, ma di Dio: Dio lha voluta, la guida, la perfeziona, la porta al suo
termine. La morte lo coglieva così, mentre lasciava incompiuto e precario il sogno
della sua vita, come seme affidato alla terra che a suo tempo avrebbe dato frutti
abbondanti.
Emma
Arrighini
(da:
La Voce
del Popolo n. 9 del 27-02-09 pag. 5)