Sant'Arcangelo Tadini                                 Angelo di Verola
Canonizzato il 26 Aprile 2009 da Benedetto XVI
proclamato Beato il 3 ottobre 1999 da Giovanni Paolo II


da, Sermones,
Archivio Suore Operaie, Botticino Sera

(AI: Sermones, ASO Botticino Sera)

Scritti e Omelie

L’UMILTA’ DI MARIA
E LA SUPERBIA DELL’UOMO

Omelia

Umiltà

Questa sublime eccelsa regina delle virtù, sconosciuta dapprima al mondo intero, nacque in Nazareth e si perfezionò in Betlemme.

Questa virtù, dico, che se soffre calunnie non se ne risente, se patisce ingiurie non si ritiene offesa, anzi si rallegra nell’essere disprezzata e talvolta perfino si procura beffe e avvilimenti; questa virtù che abbassa i superiori al dì sotto dei loro inferiori, ma non li fa discendere dal loro posto per disconoscere o negare le buone qualità, ma le ingrandisce nel non gloriarsene e nell’attribuirne tutta la gloria a Dio; questa virtù che, al dire di San Bernardo, è tutta propria del cristianesimo perché fondamento e custode di tutto la altre virtù; questa virtù in Maria si manifesta grande e nobile.

Sì, è Maria che per la sua umiltà al sentirsi dall'Arcangelo salutata piena di grazia non ne resta invaghita ma tutta sorpresa, non rapita, ma fin nel fondo del cuore agitata e non vi risponde se non col silenzioso suo turbamento.

Sì, è Maria che al sentirsi chiamar dall'Arcangelo "benedetta fra le donne" si conturba, si spaventa e quanto più non può sentirsi meritevole delle lodi che prodigalmente le sono tributate, così non comprende come le possano venir date.

E’ Maria che quanto più dall'Angelo si sente innalzata più Ella s’abbassa ed entra a considerare il suo niente.

E’ Maria che vedendosi costituita Madre di Dio e conoscendo quanto fosse eccelsa questa dignità niente s’avanza nella stima di se stessa, niente si ferma a compiacersi della sua esaltazione, ma annientata in se stessa si riconosce affatto indegna di tanto onore.

E’ Maria che pur non volendosi opporre alla divina volontà: "ECCE – risponde all’Arcangelo, - ECCE ANCILLA DOMINI." Ecco la schiava del Signore, obbligata a fare quello che il suo Signore comanda. E voleva dire: - che merito può mai avere una schiava per esser fatta Madre del suo Dio? -

0h grande e veramente eccelsa umiltà di Maria che la rende piccola a se stessa ma grande agli occhi di Dio! Poiché essa già non è più quella povera figlia sconosciuta che traeva i suoi taciti giorni in oscuro soggiorno quasi ignota ai viventi; essa riceve il titolo di "Regina degli Angeli e degli uomini".

Eppure di fronte ad una elevazione così distinta il primo sentimento della sua bell'anima è l'umiltà. Quel libero consentimento che le fu chiesto da Dio, essa lo pronuncia con un atto della più profonda umiltà: "Ecce Ancilla Domini, ecco la schiava del Signore".

A preferenza di tutte le creature ella conosceva le magnifiche prerogative annesse alla sua qualità di Madre di Dio. Non ignorava ella d’esser quella Vergine preconizzata da tanti oracoli. e gloriosamente disegnata in tante figure. Vedeva il Padrone assoluto di tutta la natura venire a sottomettersi ai suoi voleri. Eppure anziché restar abbagliata dalla prospettiva di tanto splendore, raddoppia il sentimento della sua modestia e della sua umiltà. Quanto più si vede innalzata tanto più si sprofonda, si umilia.

Oh quale rimprovero è mai questo per molti e molti di noi Cristiani! Quale vergogna veder Maria che pure era sì grande, dotata di tante grazie, di tante virtù e anche di tanti meriti, vederla sì umile e a null’altro protesa che a nascondere gli immensi doni di cui l’ha colmata il favore dell’Onnipotente! Noi, invece, che altro merito non abbiamo che i peccati commessi, che, per virtù non possediamo che l’ingratitudine di non aver corrisposto alle grazie e ai doni di Dio, perché siamo così alteri e superbi; e ci vantiamo di qualità e prerogative che pure molte volte non abbiamo o se le abbiamo non sono nostre? ... Oh vergogna oh rossore!

E che dunque o superbi ancor vorrete conservare in petto questo maledetto peccato? E ancor vorrete nutrire in voi vizio sì esecrando? No, da quest'oggi, ad imitazione di Maria, noi tutti dobbiamo concepire un odio santo alla superbia per non amare d’ora innanzi che la Santa Umiltà.

Io vi parlerò appunto di questo terribile peccato, capo e principio di tutti i peccati, facendovi vedere che cosa sia la superbia e il gran male che essa apporta affinché conoscendola possiate usare dei rimedi per sfuggirla.

La superbia, al dir di S. Tommaso, è un amore disordinato della propria eccellenza per cui l'uomo, o attribuisce a sé meriti che ha ricevuti da Dio, o si vanta di qualità che egli non possiede, o si stima più di quello che egli in realtà è e per tale vuol essere stimato anche dagli altri.

Quattro perciò sono i gradi della superbia: il primo grado si ha quando una persona essendo dotata di alcuni beni di natura, di fortuna e di grazia, non riconosce d'averli da Dio ricevuti ma da sé medesima e se ne compiace e se ne gloria. Di questo grado fu la Superbia di Lucifero, che vedendosi creato da Dio così bello e dotato di tante e sì eccelse prerogative di natura e di grazia invece di riconoscerle tutte, come doveva, dalla liberalità di Dio che tutte gliele aveva concesse, da queste prese motivo d'insuperbirsi, pretendendo di farsi simile a Dio. Di questa superbia peccarono anche i nostri primi padri, che non contenti di tanti doni e favori di cui Dio li aveva ricolmati, per suggestione dell’infernal serpente pretesero di divenire tanti Dei. Di questa superbia sono seguaci tutti quei cristiani che vedendosi, o dalla natura o dalla fortuna, dotati da qualche ragguardevole prerogativa, o da qualche sublime posto ad onore innalzati, attribuiscono a sé le prerogative e gli onori, se ne vantano e si gloriano come di cose proprie quando invece tutto è dono di Dio. Questo non solo è superbia ma bestemmia, eresia, empietà, perché si ascrive all’uomo ciò che è dono di Dio e si nega a Dio l’essenziale qualità di primo principio e datore d'ogni bene. …

Poco diverso da questo primo grado della superbia è anche il secondo. Il superbo non attribuisce a se stesso questi beni, anzi riconosce di averli ricevuti da Dio ma li ascrive ai suoi meriti, pretende che Dio sia obbligato a darglieli come cosa sua propria, in una parola vuol far Dio debitore dell'uomo. Il che apertamente ripugna alla fede. Questi due gradi di superbia sono per ordinario quasi sempre peccati mortali. Ma tra di voi, lo spero, non vi sono di costoro.

La superbia, che più visibilmente si scorge in tanti e tanti fino alla nausea, è quella che i Santi Padri e i Teologi assegnano al terzo e al quarto grado. Di coloro cioè che si attribuiscono beni ed eccellenze che non hanno o che, credendosi superiori nelle virtù e nel merito, disprezzano gli altri desiderando d’esser stimati più degni di loro. Costoro, è vero, sono persuasi che tutto viene da Dio anche quanto hanno di bene, che tutto viene dato gratuitamente senza nessun merito, ma in pratica si gonfiano talmente di queste prerogative tanto da comportarsi come se tutto fosse proprio e dovuto a loro. Essi fanno ostentazione dei loro meschini talenti, vogliono comparire nel mondo superiori agli altri e, escludendo gli altri, vogliono riscuotere essi solo gli applausi tanto che, se scorgono luminosi di troppo gli altrui meriti e virtù, si crucciano dentro se stessi e non sono contenti finché non li hanno oscurati per poter essi solo risplendere. Quanti, purtroppo, vi sono tra i cristiani di simili pazzi che non hanno stima se non di se stessi!

Vi dissi dapprima che la superbia è un amore disordinato della propria eccellenza e per non generare scrupoli è bene che io vi spieghi cosa voglia dire "disordinato" poiché bramare posti ed onori ragionevolmente, quando e come conviene, non è superbia, è magnanimità. Amare i beni, siano essi di natura, di fortuna o di grazia, ma amarli in ordine a Dio, riconoscerli da Lui solo per esserne a Lui grati e riceverne stimolo ad amarLo e servirLo sempre più, senza per questo invaghirsene, né arrogarsi per questi superiorità e dominio sugli altri, questo è, della propria eccellenza, un amore retto, ordinato e santo. Ma all’opposto attribuire questi beni a se stesso e non a Dio, ovvero attribuirli a Dio ma gloriarsene e compiacersi come di cosa propria, dovuta al proprio io, quindi prenderne motivo di preferirsi e di soprastare indebitamente agli altri, questo è un amore disordinato della propria eccellenza, questa è vera superbia.

Un carattere particolare di questa passione diabolica, è quello della sua ingiustizia, perché l'uomo superbo quasi sempre è colui che ha meno ragione d'innalzarsi.

Portate lo sguardo sopra d'un uomo veramente giusto e virtuoso, e lo vedrete gettare su tutti i suoi meriti il bel velo della modestia. Volgetevi invece ad un uomo superbo e presto vi accorgerete essere egli colmo di ogni vizio. Ma perché egli esige avidamente i riguardi? Perchè sente che nessuno vorrebbe darglieli spontaneamente, e gli sembrerebbe ingordo conquistar quegli omaggi che ben conosce di non meritare.

Osservate una persona che si faccia vanto di possedere una qualche onorevole prerogativa e potrete, a vincita sicura, scommettere che la stessa è già tarlata dal difetto contrario.

Colui che si loda e si esalta da se stesso quasi sempre è spinto dalla voglia d'imporsi agli altri, o se non altro dal desiderio di far allusione a se stesso.

Non solo il superbo è ingiusto, è anche bugiardo; egli vuol comparir zelante, ma tutto il suo zelo consiste nel finger di soffrire sui peccati che si commettono nel mondo col fine intanto di manifestare difetti che egli spera di esserne esente. Il declamare contro gli uomini, contro i loro disordini, contro i loro vizi, è cosa assai facile e comune; ma il vero zelo, il vero spirito di carità non si lascia mai trasportare a satire impetuose ed amare. Il giusto si ferma col pensiero sulle tante iniquità che si commettono sulla terra e non si trattiene sopra sì acerbe rimembranze se non per affliggersi sommamente e piangere con trasporto di bella carità al cospetto del suo Signore che ne resta oltraggiato.

Il sacro ministro soggetto al terribile incarico della condotta dei popoli è da Dio chiamato ad annunciare la sua santa Parola e ad elevare la voce con tuono dalla cattedra evangelica contro il peccato, con veemenza inveisce contro la sì funesta moltiplicazione dei violatori della legge divina; ma questo perché è il suo ministero, perché un pressante dovere lo obbliga a gridare contro il male, onde allontanare dalle anime il vizio ed il peccato. Il superbo invece si scaglia d’ordinario contro quei vizi dei quali si lusinga d’esserne esente, o almeno vuol sembrarne, per dar luce e risalto alle buone qualità che si nutre e si lusinga di possedere. Questo zelo però col quale tenta di vestirsi il superbo non è che una maschera per coprire la sua vanità e la superbia che lo trasporta.

Il superbo s’applaude di scoprire negli altri quei difetti e quei vizi dai quali immagina esente se stesso, e per conseguenza vuol giudicare i vizi degli altri assai più gravi ed enormi di quelli ai quali si è abbandonato.

Il superbo non fa punto attenzione al suo orgoglio, alla sua ipocrisia e a tutto il fango in cui sta sepolto, non fissa gli occhi sulle proprie macchie gravissime e copiosissime ma fa attenzione per vedere, analizzare, esagerare quelle del proprio prossimo.

Il superbo sa far attenzione alla minima pagliuzza onde è ingombrato l’occhio del suo fratello e non si accorge dell’enorme trave che tutta opprime e toglie ogni senso di luce alla sua pupilla.

Il superbo è facile e pronto a concepire fuoco di sdegno per ogni ombra di offesa.

Il superbo è sempre ambizioso, ostinato nel non voler sottomettere la propria all’altrui opinione.

Il superbo presume di saperne di più e non accetta di essere contraddetto, di darsi per vinto, quantunque abbia torto e conosca d’averlo, si impunta fuor di ragione e reca a gloria la sua stessa ostinazione.

Il superbo ingiuria, disprezza gli altri.

Il superbo si nutre di collera, di risentimenti, di vendette.

Il superbo confida temerariamente in sé e nelle sue forze.

Il superbo si crede abile a tutto e con stolta presunzione si intromette in impieghi ed uffici superiori alla propria capacità, con danno certo e grave del privato e del pubblico, e con rovina della propria coscienza.

Il superbo!… Ah! Più non finirei se volessi appena accennarvi tutti i mali che fanno funesto corteggio alla superbia e di cui il superbo è quasi necessariamente spinto a seguirli! Vi basti il dire che il superbo col suo orgoglio si oppone e fa guerra a tutte le virtù, infetta ogni sorta di persona. Tutti gli altri vizi d’ordinario attaccano quelle sole virtù a cui si oppongono; come per esempio l’ira alla sola pazienza; la gola all’astinenza; la lussuria alla castità; ma la superbia a guisa di quelle malattie pestifere e contagiose che guastano tutte le membra del corpo, non è contenta di attaccare e distruggerne una sola, ma tutte le virtù guasta e corrompe.

Quel figlio sarebbe un tesoro, quella giovane sarebbe la consolazione dei suoi genitori ma in quei cuori vi si alligna la superbia e per questo vedeteli disobbedienti, caparbi, ostinati, che tutto vogliono fare a proprio modo senza mai arrendersi ed ascoltare la voce dei più vecchi. Vedeteli che sono purtroppo amaro martello dei loro parenti, ma perché questo? … per la superbia.

Quel padre, quella madre sarebbero l’edificazione del paese e invece eccoli sono lo scandalo dei vicini, perché trascurati a se stessi e poco o nulla premurosi per l’educazione dei loro figli. Avvisateli, correggeteli pur con tutta la carità: ah! vi rispondono - io non ho bisogno di padrini, in casa mia comando io, sono io il padrone, non voglio che altri vengano a mettermi le mani innanzi. Sono capace anch’io di correggere i miei figli, … - Ma che cosa è tutto questo?… E’ superbia, superbia.

Oh! Sia maledetto dunque questo infame vizio, causa, principio ed origine di tutti i mali e di tutti i disordini che allagano la terra.

Oh Maledetta superbia io ti detesto, ti odio perché sei la nemica di tutte le virtù. Volesse il cielo che almeno questo detestabile vizio fosse di alcune persone soltanto, invece esso infetta ed attacca ogni sorta di persone.

Lo credereste? Da questo vizio sono guasti anche quelli che per il loro stato e condizione più ne dovrebbero esser lontani. No, non regna nei soli dotti la superbia, non nei soli ricchi, non nei soli nobili e grandi: ma anche in quelli di mediocri talenti, di mezzane fortune, anzi fra la gente più bassa, tanto più condannabile quanto più irragionevole. Non è forse vero che quel tale nella sua contrada, nella sua comunità, nella sua casa, perché si crede più dotato degli altri di cognizioni ma non lo è, pretende essere il migliore e il più saggio, non vuol cedere ad alcuno ma vuole per forza che tutti siano del suo parere? Quel povero e vile artigiano non è forse vero che si preferisce a tutti gli altri, nella sua professione pretende saperne più di tutti, vuol che si creda che il suo lavoro sia più degli altri eccellente e ben fatto, ne va per questo gonfio glorioso e superbo, non contento, le opere e i lavori degli altri vilipende e scredita?

Se la vanità e la superbia regna tanto negli uomini, non c’è da meravigliarsi poi se maggiormente regni nelle donne. Non parlo di quelle distinte per nobiltà e ricchezze, in queste la vanità pare ereditaria. Ma quelle figliole nubili o anche coniugate che sebbene nate da umile e bassa condizione se si accorgono di essere dotate di qualche avvenenza o beltà, o si credono di esserlo, se ne pavoneggiano, si mirano e rimirano, se ne compiacciono lusingandosi di spiccare sopra tutte le altre, non vedono l’ora d’uscir di casa per essere vagheggiate e far di sé e della loro vana bellezza una pompa superba! Avessero almeno questa bellezza, non sarebbero bugiarde, ma d’ordinario chi ha meno motivo di far pompa di sé, sono quelle che più si mettono in mostra. Per cui senza timore d’illudersi con tutta ragione si può dire che l’ambizione è segno sicuro di qualche deformità e bruttezza, e colei che più si stima e pavoneggia, ella è anche brutta.

La superbia però non solo guasta e infetta quelle persone che seguono le massime d’un mondo corrotto, ma tenta d’infettare, e alcune volte le riesce pure di guastare, anche quelle persone che fan professione di pietà e virtù. Sì, nella pratica delle più sante ed eccellenti virtù si insinua questo pestifero vizio della vanità e della superbia, nelle elemosine che si fanno ai poveri, nelle persone caritatevoli, nelle austerità e penitenze, nella frequenza dei Sacramenti e in tutte le opere e esercizi di devozione, per cui molte volte queste opere sì meritorie e sante anziché meritare presso Dio, sono causa di riprovazione. (…)

Questo abominevole vizio è il più crudele nemico della nostra eterna salute. Siccome l'umiltà è uno dei segni più cari della nostra predestinazione alla gloria - come dice S. Gregorio - così la superbia è uno dei segni più evidenti dì riprovazione eterna; poiché avendo Dio una particolare compiacenza per l'umiltà, così ancor più degli altri ha in orrore la superbia.

Senza grazia nessuno potrà mai salvarsi, ma siccome Dio dà la sua grazia agli umili e resiste ai superbi, così gli umili troveranno la gloria e i superbi saranno condannati. - Deus superbit resistit, humilibus autem dat gratiam.- Sì, Dio dà la grazia a tutti coloro che conoscendo la loro necessità, povertà e miseria, con le loro umili preghiere a Dio la domandano; ma egli resiste a tutti coloro che credendosi di nulla esser bisognosi mentre sono i più poveri, non hanno premura di chiederla.

Umiltà dunque, o cari, umiltà. Ne abbiamo una vera necessità se ci preme salvarci. Umiltà brilli d'innanzi a tutte le nostre azioni, su tutte le nostre opere sia impressa questa bella impronta della santa umiltà.

L’esempio di Gesù Cristo che essendo uguale al Padre si fece servo, e quello della santa sua Genitrice Maria, che nel momento d’essere chiamata a divenire la Madre del suo Dio protesta di essere appena la sua Serva: "Ecce Ancilla Domini" ci sia sempre scolpito nella nostra mente.

Alla vista di esempi tanto magnifici impariamo quanto sia necessaria ed indispensabile la virtù dell’umiltà in un uomo cristiano. Ricordiamoci che senza una tale virtù non vi può essere cristianesimo, poiché, secondo l’espressione dei santi Padri, senza l’umiltà non vi sarebbe stata neppure la Redenzione.

Se Gesù Cristo non si fosse umiliato nel farsi uomo e Maria con la sua umiltà non avesse attirato su di sé lo sguardo dell’Altissimo certo non si sarebbe mai compiuta la nostra Redenzione.

Chi mai dunque può pretendere di sottrarsi all’umiltà dopo che il Verbo Eterno e Maria non hanno avuto ribrezzo di praticarla? Quale eminenza, quale bellezza, quale perfezione di spirito si potrà mai addurre per non essere obbligati ad umiliarsi? Si umiliò Maria che è sì pura, sì santa, sì meritevole e sì piena di grazie, si umiliò Maria che è la Madre di Dio, e noi che non siamo altro che putredine, vermi, miserie e peccato, saremo sì stolti a non volerci umiliare?

Ricorriamo a Maria perché Ella ci ottenga la grazia della santa umiltà.

Ricorrete a Lei anime giuste ed Ella sarà il vostro sostegno, anche voi o peccatori ed Ella vi allontanerà la superbia, causa e radice di tutti i mali. Tutti insieme allora saremo certi che quella voce che aperse il cielo al genere umano e fece discendere il Verbo Eterno per incarnarsi nel giorno dell’Annunciazione, sarà pure quella medesima che lo aprirà a ciascuno di noi nel giorno formidabile della nostre morte.

AI: "Sermones", ASO Botticino