Parrocchia angelodiverolaSan Lorenzo Martire in Verolanuova

Arcangelo Tadini


Canonizzato il 26 Aprile 2009 da Benedetto XVI
Proclamato Beato il 3 ottobre 1999 da Giovanni Paolo II



suoretrave

Don Arcangelo Tadini e la dua Opera:
La Congregazione delle Suore Operaie

Discorso di suor Emma Arrighini,

Madre Generale delle Suore Operaie
della Santa Casa di Nazareth,
in occasione della serata sul tema:
"Uno di Noi: don Arcangelo Tadini".
Verolanuova, Venerdì 24 Settembre 1999.

Parlare di Don Tadini e della sua Opera qui a Verolanuova, nella sua terra natale, mi carica di grande emozione. Fare memoria di lui questa sera è risentirlo vivo in mezzo a noi, è guardare a lui come modello da imitare nel cammino che anche per noi è cammino di santità.

Per capire il Tadini e le sue opere bisogna proprio partire dalla sua santità. Abbiamo sentito molte volte in questo tempo (anche questa sera) affermare che Don Tadini fu un uomo tutto di Dio, assorto costantemente in Dio — affermano molti testimoni — ma anche un uomo tutto degli uomini. L’essere assorto in Dio non lo distoglie dai problemi della sua gente, anzi è proprio questo suo vivere col cuore e la mente sempre rivolti al Signore che gli permettono di pensare ed attuare innumerevoli iniziative, fino alla costruzione della filanda e alla fondazione delle SUORE OPERAIE.

Il denominatore comune delle sue molteplici realizzazioni è la sua santità, ma anche la sua pastoralità; una sincera e disinteressata volontà di andare incontro ai bisogni materiali e spirituali dei suoi parrocchiani. Come un buon padre egli si preoccupa in tutti i modi del benessere spirituale e materiale della propria famiglia e nulla lascia di intentato per preservarla da ogni sorte di pericolo. Non ha paura del rischio, delle incomprensioni, delle calunnie, delle sofferenze... .se questo lo richiede il bene della sua gente.

A partire da questa premessa ben si capisce come il Tadini fondatore delle Suore Operaie, affondi le sue radici nel Tadini Parroco: è la preoccupazione di evitare alle sue giovani pericoli morali ed incontri pericolosi con le nuove dottrine, che lo spinge alla fondazione della filanda prima e della Congregazione religiosa poi.

Siamo alla fine dell’ottocento, in Italia e in Europa urgono bisogni nuovi e si richiedono rimedi nuovi. Don Tadini avverte che la Chiesa è chiamata in causa da chi soffre, e chi soffre ai suoi occhi sono gli operai e le operaie delle fabbriche e delle filande, gli scalpellini del suo paese, i cavatori di pietre.

In particolare, come parroco e responsabile del gregge a lui affidato, è sempre più angustiato della mancanza di lavoro per le sue giovani che si vedono costrette ad emigrare in altri paesi in cerca di lavoro e finire nelle filande, ambienti malsani fisicamente e moralmente. Partono il lunedì molto presto, a piedi e tornano il sabato. Tornano diverse da quando sono partite. Lavorano 12\14 ore al giorno, con le mani nell’acqua bollente, in ambiente umido ed un aria quasi irrespirabile.

Don Arcangelo le vede tornare sfinite, sembrano "limoni spremuti" dirà lui stesso. Un giorno durante la catechesi si rivolge alle mamme dicendo: "Mi è di grande dolore veder partire le mie figlie. Mamme, se appena potete tenetele a casa, portate pazienza e vi prometto che penserà io a qualcosa". Don Tadini non è architetto né geometra, eppure progetta lui stesso la filanda e inizia la costruzione forse fidandosi troppo dei suoi collaboratori; dà fondo alle sue risorse patrimoniali e chiede un prestito alla banca.

Nel 1895 la filanda è in funzione con strutture e impianti all’avanguardia. Il posto di lavoro è assicurato alle giovani di Botticino e ad altre di paesi vicini per le quali acquista la Villa Zani e la adibisce a convitto. Don Tadini potrebbe essere soddisfatto, e invece no, il suo sogno non è pienamente realizzato. Egli avverte che accanto alle giovani del convitto e della filanda ci sarebbe bisogno della presenza di persone consacrate. Dapprima si rivolge a diversi Istituti religiosi chiedendo Suore che siano educatrici, non stando in cattedra ad insegnare, ma mettendosi vicino alle operaie, allo stesso banco di lavoro. Inutilmente. Già era ritenuto poco dignitoso per una donna entrare in fabbrica tanto più Io era per la donna consacrata.

Come sempre don Tadini non indietreggia davanti alle difficoltà. Nel 1900 fonda lui stesso una nuova famiglia religiosa: le SUORE OPERAIE della 5. Casa di Nazareth, con il compito di "entrare negli opifici e negli stabilimenti industriali non tanto a dirigere e sorvegliare, quanto a lavorare insieme con le operaie, facendosi esse stesse operaie"(Sono le linee fondamentali della nuova Istituzione presentata da don Tadini al Prefetto della Congregazione dei Religiosi). Le Suore non saranno insegnanti, non capi, non maestre, ma semplici operaie.

Don Tadini mette davanti alle sue Suore il modello di Gesù lavoratore a Nazareth, che "nella redenzione —sono parole sue — non solo sacrificò se stesso sulla croce, ma per trent’anni non si vergognò di maneggiare la pialla, la sega ed altri attrezzi da falegname, così che le sue mani si devono essere incallite, la sua fronte dovette essere madida di sudore". Nella concezione del Tadini il lavoro non è una maledizione, come a volte erroneamente si è pensato, ma è il luogo dove l’uomo è chiamato a realizzarsi come uomo. Di più: il lavoro, se accettato nella fatica e nelle sue difficoltà, permette all’uomo di cooperare alla redenzione.

Il Tadini intuisce che bisogna avviare una comprensione più positiva del mondo del lavoro: non più una fucina di visioni atee od avverse alla Chiesa, ma un ambiente bisognoso del fermento evangelico. Un mondo da incontrare, non da contrastare. Questa sua intuizione prende vita in mezzo a innumerevoli difficoltà e persecuzioni. "Le tribolazioni sono il timbro delle opere di Dio" affermava ripetutamente il Fondatore. Egli nell’umiltà e nell’obbedienza non si arrende alle difficoltà, alle incomprensioni, ai sospetti, alle calunnie, egli va avanti, certo che l’opera a cui ha dato inizio è "la più necessaria, la più importante, la più calda di palpitante attualità" (sono parole sue scritte a Mons. Sarti nel 1908 prevedendo la Visita apostolica.

Vorrei ora ripercorrere con voi la vicenda storica della fondazione delle SUORE OPERAIE che fin dall’inizio si è rivelata difficile e travagliata. Dalla documentazione, accanto a Don Tadini appare la figura di Padre Matteo Franzini, della Compagnia di Gesù, consigliere e sostenitore del Tadini nel consolidamento della filanda, del convitto e della congregazione. La collaborazione del Padre Franzini è occasionale e rimane marginale nella fondazione delle SUORE OPERAIE, lui stesso — Padre Franzini — ha sempre considerato e riconosciuto il Tadini come vero ed unico fondatore delle SUORE OPERAIE.

La storia della fondazione ci parla di due momenti.

Il primo è costituito dal tentativo di Leopoldina Paris presentata al Fondatore da Padre Franzini (quella che Del Rio nell’ultima biografia del Tadini "Il Tessitore di Dio" presenta come signorina poliglotta che ben presto si disanimò e abbandonò l’idea..)

Il secondo momento è costituito dalla fondazione voluta dallo stesso Tadini e che si svilupperà nel corso degli anni con inaudite difficoltà.

Il primo tentativo: siamo verso la fine dell’800, don Tadini ha sanato il dissesto finanziario della costruzione della filanda e acquistato la Villa Zani (attuale Casa Madre), con l’intento di organizzare un convitto per le operaie che giungono da altri paesi per lavorare nella filanda. La direzione del convitto viene affidata dallo stesso fondatore ad alcune Figlie di S. Angela del paese. Nel frattempo egli si rivolge a vari Istituti religiosi per chiedere suore da affiancare alle giovani nella filanda e nel convitto. Bussa a molte porte, ma i rifiuti si rinnovano continuamente. Tadini intuisce chiaramente il motivo: c’è chi ritiene poco dignitoso mandare delle persone consacrate nelle fabbriche, viste come luogo di malcostume e di perdizione. E c’è chi ancora sospetta di lui a causa delle difficoltà economiche incontrate nell’impianto della filanda.

Contemporaneamente Padre Franzini, dotato di grande zelo apostolico ma spesso idealista, per cui non riuscirà a concretizzare nessuna delle sue idee, è preoccupato della trascuratezza della gioventù maschile e femminile e pensa di fondare due istituzioni: i Luigini (si ricollegava a S. Luigi patrono della gioventù maschile per la gioventù maschile e le suore operaie per la gioventù femminile.

E’ questo il contesto in cui nasce la coincidenza che permette il primo tentativo di fondazione delle SUORE OPERAIE. Franzini incontra Leopoldina Paris, una ex canossiana colta e preparata, che per le sue qualità è ritenuta dal Franzini atta all’opera che sta progettando nella sua mente. Venuto a conoscenza che il Tadini, dopo la costruzione della filanda e la compera della Villa Zani adibita a convitto per le operaie, è in cerca di Suore per l’assistenza sul lavoro e per il convitto, associa le due iniziative.

Incontra e si accorda con don Tadini, ed invia la Paris con un gruppetto di cinque o sei giovani a Botticino per iniziare la nuova opera. Le cose sembrano ben avviate, tanto che arrivano a Botticino nuove vocazioni. Contemporaneamente però per il Tadini inizia il momento più difficile e umiliante della sua vita: il fallimento finanziario per cui deve lasciare l’amministrazione della filanda, il sequestro in canonica, la perquisizione dei mobili, il sospetto della Banca che gli nega ilo prestito, l’incomprensione dei suoi confratelli e perfino del suo Vescovo. Le compagne della Paris temono e lasciano tutto. Lei stessa, dopo aver resistito ancora per un breve periodo alla direzione del convitto, si trasferisce altrove.

Tutto sembra dissolto, Il chicco di grano caduto per terra sembra morire.

Ma Don Tadini persevera nel suo intento: sul finire del 1899 aggrega lui stesso alcune aspiranti di Botticino, Figlie di S. Angela, operaie della sua filanda, alle quali confida il suo progetto. E’ l’inizio della nuova istituzione, ma è pure l’inizio di altre innumerevoli difficoltà, a riprova di quanto il Fondatore amava ripetere: "Le tribolazioni sono il timbro delle opere di Dio".

Non possiamo analizzare in questa sede tutti i fatti avvenuti tra 111900, anno della fondazione e il 1930, anno del riconoscimento del nuovo Istituto. Per la comprensione delle innumerevoli difficoltà incontrate dal Tadini e dalla nascente Istituzione, rimando alla biografia del Fossati, pubblicata nel 1977 e soprattutto alla Positio super virtutibus consegnata alla Congregazione per le Cause del Santi nel 1992. lo mi limito soltanto a riassumere brevemente quegli anni di grande tribolazione che di fatto ebbero uno svolgimento molto più complesso di quanto io possa far emergere in questa brevissima sintesi.

Le prime e più gravi difficoltà del nascente Istituto vengono dalla crisi economica. Per far fronte e ridurre i debiti contratti dal fondatore per l’impianto della filanda e per l’acquisto della Villa Zani, le suore intensificano il lavoro e restringono le spese di consumo. Ne risulta una vita austera e penitente anche a causa del sistema vegetariano che il Fondatore seguiva rigidamente e che aveva introdotto nella comunità delle Suore. Le molte ore di lavoro in filanda in ambiente molto umido, il freddo rigido della stagione invernale, il vitto scarso, i frequenti digiuni offrono terreno fertile al contagio della T.B.C che provocano la morte di parecchie giovani suore.

A questa dura prova segue la visita apostolica di Mons. Andrea Sarti, Vescovo di Prato, il quale pur riconoscendo la bontà della nuova Istituzione, vede incerto il suo avvenire, per cui propone di far assorbire la comunità di Botticino da una più sicura e stabile congregazione religiosa.

Iniziano così le trattative con la Congregazione delle Ancelle della Carità di Brescia. Siamo nel 1910 e il Tadini si dispone a sacrificare la propria creatura sull’altare dell’obbedienza. Ciò nonostante, egli continua a sperare per la sua Istituzione e così scrive a Padre Franzini: "La Congregazione di Botticino non ha nulla da temere. Troppe furono le difficoltà che ebbe a superare. Furono d’ogni genere, d’ogni persona, d’ogni valore. Vennero da tutte le parti; da chi si aspettava e da chi non si aspettava. Dio che l’ha voluta, la guida, la perfeziona, la conduce al suo termine. Se verrà anche fusa non sarà che per brillare di luce più fulgida a rischiarare le altre. Non è una esagerazione il dire che le supera tutte; anziché venir distrutta, questa Congregazione verrà ricercata, lavora per le operaie e ne difende la salute. E’ proprio l’istituzione del giorno è il toccasana della questione sociale".

Il Fondatore è ormai ammalato e stanco, le trattative per la fusione delle Suore Operaie con la Congregazione delle Ancelle della Carità si stanno trascinando da lungo tempo senza approdare ad alcuna soluzione.

Il 2 novembre 1910, il Tadini sostenuto da Mons. Gaggia, suo compaesano che lo stima moltissimo, si rivolge direttamente alla Sacra Congregazione dei Religiosi e, difendendo la sua Istituzione con molto coraggio, presenta le linee fondamentali del suo Istituto e il miglioramento del suo stato economico e chiede alcune "grazie" tra cui quelle di poter accogliere nuove postulanti. La risposta favorevole giunge due mesi dopo la morte dei Tadini avvenuta il 20 maggio 1912. Egli muore senza avere la gioia di veder sicura la sua opera, ma la Congregazione è salva. Le difficoltà però non sono finite, la morte del Fondatore segna per le Suore Operaie l’inizio di un altro doloroso e lungo travaglio.

La Curia di Brescia, su richiesta della prima Madre generale Sr. Chiara Febbrari nomina un superiore per la Comunità di Botticino: Don Antonio Cargnoni, di grande spirito religioso, ma che non ha le idee sociali del Tadini e non vede bene lo scopo specifico delle SUORE OPERAIE.

Lentamente incomincia a voler mutare la finalità dell’istituto e ad imporre alle suore di non più parlare del Fondatore. La Regola approvata ad experimentum nel 1902 viene da lui stesso ritirata, con l’ordine di bruciare tutti i documenti lasciati o usati al tempo di don Tadini: scritti, diari, manuale di pietà e tutti i documenti che si riferivano alle origini della congregazione.

Cancellata la memoria storica della nascente congregazione, don Cargnoni nel 1922 detta la nuova regola. In essa sparisce ogni traccia del lavoro inteso come missione e imitazione di Gesù a Nazareth.

La situazione di precarietà e di sofferenza per le prime figlie spirituali del Tadini si prolunga per ben 18 anni.

Con la morte del Cargnoni avvenuta nel 1930 la Congregazione, grazie allo zelo delle prime Madri generali, aiutate da attivi Padri della compagnia di Gesù, torna alle origini della sua fondazione e ottiene l’approvazione da Mons. Gaggia, vescovo di Brescia.

Finalmente si avverava quanto don Tadini nel 1908 aveva scritto al visitatore apostolico, quasi profetizzando l’avvenire della sua Istituzione. "Quest’opera (la congregazione) è nel decimo anno di sua vita e furono dieci anni di lotte sanguinose. Essa disprezzata da tutti, derisa , perseguitata, pure priva d’ogni aiuto essa sola resistette, e resiste da sola a tutto, e quieta, tranquilla, quasi nave in mezzo al più placido mare voga contenta al felice conseguimento per cui è sorta".

Oggi attraverso le SUORE OPERAIE don Tadini continua ad essere l’apostolo dell’amore di Cristo tra gli uomini e le donne che lavorano.

Il bene morale del mondo del lavoro, la promozione umana, la ricerca della giustizia sociale auspicata dalla Rerum Novarum e oggi dalla dottrina sociale della Chiesa, ha spinto le Suore Operaie a varcare i confini del mondo. Oggi siamo presenti in Italia, Svizzera, Inghilterra, Africa, Brasile.

La Chiesa proclamando "BEATO" don Tadini "riconosce, insieme alla santità della sua vita, la validità della sua intuizione pastorale: portare il Vangelo nel mondo del lavoro attraverso la presenza di religiose che condividono il lavoro manuale dipendente. La scelta - che allora parve una stranezza e un pericolo - mantiene ancora oggi, ne siamo convinte, il pieno significato delle origini.