La parrocchia di San Lorenzo in Verolanuova   Angelino2.gif (1091 byte)
                                                                                                                                Grazie don Luigi                      

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Don Luigi,
sempre lo stesso

di Don Franco Corbelli
Abate di Pontevico

 

Un giorno la strada della mia vita ha intersecato quella di Don Luigi, allora non ancora Monsignore. Era settembre del 1977 e per dieci anni il nostro tracciato è andato avanti affiancato.

Lui, il Prevosto, era vent’anni più adulto di me, giovane trentenne calato alla bassa con pochi anni di esperienza ai piedi delle montagne. Inserito, con ruolo di piena responsabilità, nella complessa comunità verolese da solo due anni, a me pareva che egli conoscesse già tutto di questa Parrocchia, immensa ai miei occhi.

L’ho conosciuto con radi capelli (ma, guardando i miei spesso capricciosamente non corti e folti, ci teneva a ricordarmi che anche lui da giovane …), abbastanza "large" nelle misure, con portamento leggermente piegato e col volto atteggiato a pensosa serietà. L’ho registrato in memoria nella cartella del prete già "su" con gli anni.

Sono seguiti dieci anni di stretta collaborazione, di rapporto fiduciale, di stima reciproca divenuta amicizia e fraternità sacerdotale con aperture alla confidenza, sempre nella forma interlocutoria del lei-tu.

Mi osservava con amorevole curiosità, nel mio fare un po’ laico e forse scanzonato agli occhi di qualcuno; ascoltava con pazienza e dignitoso rispetto il mio conversare nello sforzo di acquisire quel tono dialettale bassaiolo che mal riusciva alla mia lingua sviluppatasi sulle aspirate camune; sollecitava il mio parere e quello degli altri curati, amante com’era e com’è del confronto, nel quale introduceva la sapiente esperienza maturata a Bassano e a Leno: esperienza e sapienza che andavano arricchendosi con i giorni verolesi.

Scoprivo questa personalità un poco alla volta.

Lo sapevo prete di ottimo canto e mi vergognavo non poco della mia incapacità a tenere il tono; sfuggivo ogni occasione di intonazione. Una notte di Natale, mi si presentò davanti all’altare, comparendo dal coro dove lui, il Prevosto che avrebbe dovuto presiedere la solennità, si era messo – umile, ma con piacere – a dirigere la "Schola" e, perentorio, mi comandò con un viso che non ammetteva repliche: "Adesso lo intoni tu quel Gloria!".

Io non mi ero dato da fare, in Seminario, a correggere i miei limiti musicali: avevo sempre prediletto lo sport. Un giorno scopro che anche il mio Prevosto, così immerso nella liturgia e nella pastorale, è appassionato di calcio e stravede per il ciclismo.

Rimaneva sempre quel volto velato da un tratto di pensosità dove potevo intuire il sovrapporsi di pensieri legati al tetto della Basilica e all’Oratorio, di preoccupazioni per le famiglie e per i giovani, per l’educazione religiosa e per l’incipiente sfaldarsi della sana Tradizione religiosa e di passione per i tanti ammalati che andava scovando in corsia d’ospedale come nelle case. Una sera, invitato a condividere una crosta di pane ed una fetta di salame con un gruppo di giovani catechisti ha calamitato la sorpresa attenzione di tutti con una serie di racconti evocati dagli anni del suo sacerdozio.

Il narrare era, ovviamente, in dialetto, più atto a rendere plastiche le colorite immagini e lo sviluppo degli aneddoti. Uno di questi mi è tanto penetrato con la gioia del ridere che il mattino seguente, durante la S. Messa, improvvisamente mi risuona nella mente la battuta finale e ho dovuto far ricorso a tutte le mie energie per trattenere uno scoppio di riso che avrebbe fatto pensare ad una anomalia mentale da raptus. Finalmente avevo scoperto il volto naturale del Prevosto di Verola.

Più tardi venni a conoscenza che preti e Vescovi sceglievano il periodo di vacanza a Ponte di Legno sperando nella presenza di Don Corrini, animatore di pasti e di serate con questa verve narrativa di aneddottica.

Nel 1987 le nostre strade prendono direzioni diverse. Sono passati dieci anni e lui è sempre lo stesso. Almeno così lo vedo io.

Ci ritroviamo quattordici anni dopo, vicini "sul campo". E lui è sempre uguale, non lo vedo cambiato. Sì, qualcosa di diverso l’ho notato: è un po’ rallentato il passo, ma bisogna proprio osservarlo bene per cogliere questo piccolo segno dell’età. Ci incontriamo per riunioni pastorali, per momenti spirituali, in conversazioni fraterne e occasionali; il tratto è ancora lo stesso, medesima la familiarità, sostanzialmente invariata la sintonia di intenti e di analisi, sempre pronta la verve suscitatrice di ilarità.

"Per contemplare i colori del tramonto bisogna arrivare a sera", gli butto lì un giorno per stemperare l’incipiente tristezza del pensionamento; la frase non è mia, gliela ricordo, a senso, da una recente lettura. Coglie al volo l’occasione, giusto per esorcizzare il comprensibile rammarico di essere prossimo al capolinea della responsabilità e, per i confratelli presenti, traduce l’espressione in una immagine di fattura agricola recuperata dal vernacolo imparato nella campagna di Seniga; scontato l’effetto di una sonora risata, garanzia di un clima sereno.

Non me ne voglia, Don Luigi Monsignore, se non sono stato capace di tratteggiare la figura del prete pastore, catechista, liturgo, custode innamorato di tesori artistici e appassionato di anime da avvicinare al Signore. Le pagine de L’Angelo ospitano parole più qualificate per delineare la sua figura e il bene che ha seminato a Verolanuova.

La mia è solo una semplice e veloce rivisitazione esteriore, apparentemente scanzonata, ma affettuosa, di uno dei suoi curati che da quel lontano 1977 lo ha visto sempre uguale e che oggi fatica ad immaginarlo pensionato inattivo.

 

Don Franco Corbelli
Abate di Pontevico

                                                               


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