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Tadini e la Filanda
Il Tadini rappresentato tra le sue operaie e le suore,
nella filanda da lui iniziata è la scena più nota e qualificante della sua vita e della
sua opera. È lo stesso Beato che consiglia limmaginario pittore a dipingere
persone, movimenti e colori: si tratta di donne, chiuse in ambienti malsani, con le mani
nelle bacinelle colme di acqua calda, per immergervi i bozzoli per la dipanatura del filo,
così come è descritto in una circolare del 1909, diretta alle operaie:
"Se la classe operaia in generale è miserabile,
quella che lavora nei setifici è la più miserabile: perché donna, e perciò un essere
tolto alle sue naturali occupazioni; perché deve lavorare in un ambiente sempre chiuso,
caldissimo, attaccata ad una bacinella dove lacqua bolle a 80° centigradi; per
apprendere bene questarte, loperaia deve entrarvi nella più tenera età, ed
esercitarvici continuamente, senza aver tempo dimparare neppure ad accudire alle
domestiche bisogna; la materia che forma lesercizio di questa operaia è tra le più
delicate, preziose e difficili; questoperaia deve avere, attitudine non comune,
buona vista, se non robustezza certo sanità, in modo speciale poi unattenzione tale
che neppure le arti più difficili ne richiedono l'uguale; loperaia in
questarte, sia forse per i grandi trabalzi dei prezzi nel mercato serico, sia forse
perché tra la seta-filo, e la seta-stoffa, vi siano troppe indebite mangerie, è assai
poco retribuita; questa operaia non può neppur sperare in un almeno lontano avanzamento
di posto e miglioramento di paga; in ogni altro mestiere chi non può più lavorare tutta
lintera giornata, può lavorare alcune ore, più o meno a seconda della volontà,
delle forze e della salute che ha, o molto meglio lavorare a sé, avviare una piccola
industria ecc. In questarte, no; o lavorar di continuo e sotto gli altri sempre, o
cessare".
Le condizioni di lavoro accennate dal Tadini, non sono
raffigurabili in quadro: lambiente caldissimo, lorario di più di dieci ore al
giorno, la gioventù sciupata di donne, impedite nella pratica delle attività casalinghe
e perfino di accasarsi, spossate e sfruttate come "limoni spremuti, senza
sostentamento".
Il Tadini e la filanda
Come era giunto, il Tadini, alla filanda? A Botticino
cerano due filande: una, la Zamara, detta "filanda alta" occupava una
ottantina di operaie, laltra di proprietà Barbiani, detta "filandina",
una ventina di giovani. Ma queste non bastavano per dare lavoro a tutti, specialmente le
donne, per cui molte ragazze di Botticino si recavano in altri paesi, specialmente a
Calcinato, e a Lonato, dove vi erano grosse filande.
Le ragazze partivano il lunedì per Lonato, a piedi o su
mezzi di fortuna e tornavano al sabato; facile immaginare lo sbando cui erano soggette,
rimanendo lontane da casa, alloggiate chissà dove.
Il Tadini, che osservava preoccupato questa realtà dalle
tristi conseguenze, passò senza indugio dallosservazione allazione, per porvi
rimedio. Pensò di iniziare lui stesso una filanda, attiva per tutto lanno.
Si rivolse prima al Barbiani, poi ad altri proprietari,
affinché si associassero a lui, ricevendone però risposta negativa.
Tentò, allora, in proprio; non essendogli riuscito di
acquistare un appezzamento di terreno vicino alla strada principale, su cui erigere il
fabbricato, ne comperò un altro in contrada S. Michele, nel 1894, e si mise subito
allopera.
Egli stesso tracciò i disegni, chiamò capomastri e
muratori e iniziò la costruzione. Utilizzò come capitale il suo patrimonio, qualche
prestito ottenuto da privati, che gli furono soci, Bortolo Moscheni, Giuseppe e Luigi
Soldi e altri e un mutuo di L. 130.000 concessogli dalla Banca S. Paolo.
Nel 1895 la costruzione (44 x 9 metri) era terminata, con
relative attrezzature attigue e interne, vasche, bacinelle (in numero di ottanta),
ventilatori, caldaia, motrice, macchinario vario.
La filanda era a due piani e aveva un ampio portico (31 x
6.50 metri); vi erano annessi una casa civile per lalloggio del direttore e tre
locali su tre piani, per il ricovero delle filandiere, con camerate per dormitorio.
Il direttore era Angelo Barbiani, già proprietario della
"filandina".
Lidea della filanda era temeraria, per vari motivi.
Perché il Tadini era sacerdote, inesperto in affari
economici; perché da non molti anni si era stabilito in parrocchia e la sua esperienza
era ancora pressoché agli inizi; perché limpresa poggiava su un capitale non di
grossa entità.
Inoltre, una iniziativa simile andava contro la tendenza
degli imprenditori bresciani, i quali non erano propensi a impiegare risorse in questo
settore: infatti, a quellepoca, una buona metà delle nostre filande e filatoi era
condotta da industriali milanesi, bergamaschi, svizzeri o francesi.
Tutte ragioni che al Tadini non interessavano, preoccupato
comera di venire incontro alla sua gente, a tal punto da avviarsi su strade a prima
vista impraticabili.
La filanda, pur traballante per difficoltà economiche,
cominciò a operare; e continuò: nel 1901 ospitava 135 operaie.
Il progetto del Tadini
Quale finalità sociale intendeva realizzare il Tadini con
la sua filanda?
La già citata circolare del 1909, affermava che alcuni
avevano ideato di migliorare le dure condizioni delle filandiere mediante laumento
della paga e la diminuzione delle ore di lavoro; ma la situazione delle operaie era
diventata sempre più miserabile.
Il Tadini proponeva il suo rimedio, partendo da una visione
positiva del lavoro: "guadagnarsi il vitto col sudore della propria fronte",
secondo il detto biblico, non è una condanna, ma "un insegnamento per non
allontanarsi da Dio, Provvido Creatore, che ha stampato nella natura, ciò che deve
bastare a tutti i bisogni presenti e futuri della vita umana".
Il rimedio del Tadini era di considerare la filanda come
luogo dove è possibile ricreare rapporti di tipo casalingo; per questo il Beato aveva
aggiunto, nel 1898, un convitto in una villa attigua allo stabilimento, la villa Battaggia
Zani, comperata con un prestito della Banca S. Paolo, e attrezzata con locali adibiti a
dormitorio e mensa. Si possono ritrovare due momenti nel progetto del Tadini; un primo, di
procurare facilmente lavoro a operaie altrimenti sottoposte a disagi e pericoli morali per
procurarselo; un secondo, di rendere la filanda come ampliamento dellambiente
familiare, che necessita del lavoro per necessità di sopravvivenza.
La circolare dellaprile 1909 affermava che le operaie
ospitate nel complesso della filanda potevano essere sicure del loro posto di lavoro e
svolgervi anche lavori domestici: "il miglioramento, lavanzamento se non
lhanno nel posto, lhanno nella sicurezza. Lincubo dellincerto
avvenire non è più; date a questarte con premura ed attenzione, lhanno per
unica occupazione, si perfezionano in essa. Altre pensano alle domestiche bisogna. Per
esse il setificio è un gradito ritrovo, una palestra, un campo di vittorie".
Lintento del Tadini era, quindi, di garantire lavoro,
ma anche di migliorare i rapporti umani; voleva ricuperare finalità sociali e morali che
l'industrializzazione andava dimenticando, preoccupata solo dellefficienza
formalizzatrice e spersonalizzatrice dei rapporti sociali. Il convitto del Tadini nel
1901, ospitava una cinquantina di operaie.
(continua) |